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NUT, UNA SFERA NELL’ELLISSE. L’ultima collezione di luci di Angela Ardisson.

Nut, l’ultima collezione di lampade – a sospensione, da terra, da tavolo e a parete – disegnate da Angela Ardisson trae ispirazione dalla noce, sia per il concept illuminotecnico sia per la forma. Ci sono un contenuto ed un contenitore, un’ellisse che abbraccia una circonferenza. Sinuosità femminili e minimalismo formale, poiché il materiale è uno, l’ottone, così come una è la forma.

La collezione Nut nasce l’autunno scorso quando l’interior designer Michela Curetti aveva chiesto ad Angela Ardisson di creare una lampada per una casa con grandi affacci sull’esterno, in montagna. Qui aveva realizzato una scultura in tessuto metallico che consentisse col suo volume di con-tenere sufficiente espressione luminosa sul grande tavolo del soggiorno e che, al contempo, non facesse ombra nella stanza. Un compromesso tra volumi, materiali e sorgente di luce. Per illumina-re sono state utilizzate le sfere di led, che finalmente da qualche anno, sostituiscono le boule ad incandescenza, (quelle a tungsteno hanno da sempre rappresentato il ’cuore pulsante’ delle sculture della designer, affascinanti per la loro forma e per i loro filamenti a vista, ndr). La sua intenzione è stata quella di trovare una soluzione trasparente in grado sagomare la lampadina ed impedire che il bagliore luminoso desse fastidio agli occhi. Nut è l’involucro che riveste la luce e protegge il nostro sguardo dal suo riflesso.

Nell’allestimento pensato in occasione della Milan Design Week erano presenti anche alcune maxi sculture luminose in bronzo e alcuni pezzi della collezione EARTHLANDS presentata lo scorso anno. Partner dell’esposizione Altai, ovvero Raffaele Carrieri. “Sono molto felice di averlo al mio fianco con i suoi preziosi tappeti – spiega Angela Ardisson – Raffaele ha un gusto raffinatissimo e negli anni ha mantenuto la passione per il suo lavoro, per la ricerca e l’innato piacere di tramandare racconti antichi. Storie che legano trame”.

Gli esemplari dei primi ‘900 scelti per l’allestimento di ARTPLAYFACTORY sono stati prodotti dai nomadi che vivevano sui vasti altipiani dell’Anatolia centro-orientale per assolvere alle necessità quotidiane. Usati come stuoie a terra o come isolamento termico a parete all’interno delle tende, erano tessuti con i colori naturali della lana di capra. “Il termine turcofono Kara significa nero, come le lane utilizzate, e grazie alla grande resistenza del materiale i tappeti venivano anche usati per l’essiccazione delle albicocche, unica fonte di vitamine durante i rigidi inverni. La presenza di piccoli ricami o di fili di diverso colore sono segni di protezione totemica” spiega Carrieri. E’ stata proprio questa “utilità” a preservare intatti, nel corso dei millenni, i caratteri originari di essenzialità del disegno e raffinatezza del filato rudimentale. Tratti che ritroviamo anche nella poetica di Angela Ardisson.

photo © Thomas Pagani

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